Ispirata all’affascinante mondo di quattro tra le ” Citta Invisibili” di Italo Calvino, INVISIBILE è una vera esperienza visiva, per riflettere sulla nostra percezione del vuoto e la nostra capacità di reinventarlo.

GLI INVISIBILI

Matteo Campodall’orto, Giovanni Capri, Stefano Cazzulo, Flavio De Fazio, Simona De Lellis, Alessio De Simone, Lucia Farabolini, Lucas Fernandez , Alessandro Lorefice, Annalisa Nieddu, Gian Paolo Oltolini, Silvio Sgueglia

INVISIBILE

Ispirata all’affascinante mondo di quattro tra le ” Citta Invisibili” di Italo Calvino, INVISIBILE è una vera esperienza visiva, per riflettere sulla nostra percezione del vuoto e la nostra capacità di reinventarlo. Uno show sinergico tra scena e tecnologia cinetica alla scoperta di una nuova location e delle sue possibili declinazioni.

ERSILIA

“A Ersilia, per stabilire i rapporti che reggono la vita della citta, gli abitanti tendono dei fili tra gli spigoli delle case, bianchi o neri o grigi o bianco-e-neri a seconda se segnano relazioni di parentela, scambio, autorità, rappresentanza. Quando i fili sono tanti che non si può più passare in mezzo, gli abitanti vanno via: le case vengono smontate; restano solo i fili e i sostegni dei fili. Tessono con i fili una figura simile che vorrebbero più complicata e insieme più regolare dell’altra. Poi l’abbandonano e trasportano ancora più lontano sé e le case. Cosi viaggiando nel territorio di Ersilia incontri le rovine delle città abbandonate, senza le mura che non durano, senza le ossa dei morti che il vento fa rotolare”

Ragnatele di rapporti intricati che cercano una forma.

OTTAVIA

“Se volete credermi, bene. Ora dirò come è fatta Ottavia, città – ragnatela.”
C’è un precipizio in mezzo a due montagne scoscese: la città è sul vuoto, legata alle due creste con funi e catene e passerelle. Si cammina sulle traversine di legno, attenti a non mettere il piede negli intervalli, o ci si aggrappa añe maglie di canapa. Sotto non c’è niente per centinaia e centinaia di metri. Questa è la base della città: una rete che serve da passaggio e da sostegno. Tutto il resto, invece d’elevarsi sopra, sta appeso sotto: scale di corda, amache, case fatte a sacco, attaccapanni, terrazzi come navicelle, otri d’acqua, girarrosti, cesti appesi a spaghi, montacarichi, docce, trapezi e anelli per i giochi, teleferiche, lampadari.. Sospesa sull’abisso, la vita degli abitanti d’Ottavia è meno incerta che in altre città

Sanno che più di tanto la rete non regge.

TECLA

Chi arriva a Tecla, poco vede della città, dietro gli steccati di tavole, i ripari di tela di sacco, le impalcature, le armature metalliche, i ponti di legno sospesi a funi o sostenuti da cavalletti, le scale a pioli, i tralicci. Alla domanda: – Perché la costruzione di Tecla continua così a lungo? – gli abitanti senza smettere d’issare secchi, di calare fili a piombo, di muovere in su e giù lunghi pennelli. – Perché non cominci la distruzione, – rispondono. E richiesti se temono che appena tolte le impalcature la città cominci a sgretolarsi e a andare in pezzi, soggiungono in fretta, Se, insoddisfatto delle risposte, qualcuno applica l’occhio alla fessura d’una staccionata, vede gru che tirano su altre gru, incastellature che rivestono altre incastellature, travi che puntellano altre travi. — Che senso ha il vostro costruire? – domanda. – Qual è il fine d’una città in costruzione se non una città? Dov’è il piano che seguite, il progetto? Te lo mostreremo appena terminata la giornata; ora non possiamo interrompere, – rispondono. Il lavoro cessa al tramonto. Scende la notte sul cantiere. È una notte stellata”

Ecco il progetto, dicono.

LEONIA

La città di Leonia rifà se stessa tutti i giorni: ogni mattina la popolazione si risveglia tra lenzuola fresche, si lava con saponette appena sgusciate dall’involucro, indossa vestaglie nuove fiammanti, estrae dal più perfezionato frigorifero barattoli di latta ancora intonsi, ascoltando le ultime filastrocche che dall’ultimo modello d’apparecchio. Sui marciapiedi, avviluppati in tersi sacchi di plastica, i resti di Leonia d’ieri aspettano il carro dello spazzaturaio. Non solo i tubi di dentifricio schiacciati, lampadine fulminate, giornali, contenitor: più che dalle cose di ogni giorno vengono fabbricate vendute comprate, l’opulenza di Leonia si misura dalle cose che ogni giorno vengono buttate via per far posto alle nuove. Il risultato è questo: che più Leonia espelle roba più ne accumula; le squame del suo passato si saldano in una corazza che non si può togliere; rinnovandosi ogni giorno la città conserva tutta se stessa nella sola forma definitiva: quella delle spazzature d’ieri che s’ammucchiano sulle spazzature dell’altroieri e di tutti i suoi giorni e anni e lustri. Il pattume di Leonia a poco a poco invaderebbe il mondo, se sullo sterminato immondezzaio non stessero premendo, al di là dell’estremo crinale, immondezzai d’altre città, che anch’esse respingono lontano da sé le montagne di rifiuti.

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